“Bisogna assomigliare alle parole che si dicono” scriveva Stefano Benni qualche anno fa.
Noi logistici quali parole usiamo? E “assomigliamo” -almeno un po’ – alle parole che usiamo? Frequentando meeting e incontri – sempre più virtuali – ne ho notata una che vince su tutte: supply chain.
Non voglio addentrarmi in una lectio magistralis non richiesta (non ne avrei nemmeno le competenze) su cosa sia la “supply chain”: lo sappiamo e -soprattutto– la viviamo tutti i giorni. Credo però che un po’ del nostro prezioso tempo possa essere investito per riflettere su come debba esser la logistica in quest’epoca fragile e tumultuosa.
Lo spazio circoscritto di un articolo aiuta la sintesi: la supply chain deve essere robusta, resiliente o antifragile ?
Antonio Rizzi, professore ordinario di Logistica industriale e Supply Chain Management all’Università di Parma, ha sintetizzato così in un recente articolo: “Nella terminologia IT , robusto è ciò che è in grado di non commettere errori; resilienza è la capacità di piegarsi per poi tornare allo stato originale o evolvere verso una nuova condizione”.
Lo abbiamo detto più volte e lo stiamo vivendo ogni giorno: la logistica ed i trasporti hanno saputo fornire una risposta “resiliente” ad uno shock che lascerà segni lunghi e profondi nella economia mondiale.
La resilienza è la somma di tutte quegli elementi che mi permettono di reagire bene ed in tempi rapidi, ma il sistema che in questi anni abbiamo costruito si sta rivelando fragile. Anche quello logistico.
Possiamo allora provare ad ipotizzare qualcosa di meno fragile? Una logistica “antifragile”?
Da bambino, a metà degli anni ’60, rimasi sbalordito quando vidi i primi bicchieri “antifragili”: cadevano per terra e non si frantumavano. Un bicchiere -si sa- prima o poi può cadere e allora, visto che è un’eventualità imprevista ma non imprevedibile, perché non costruire qualcosa che sia già nativamente predisposto per quell’evento?
Quei bicchieri rimasero a lungo nella mia famiglia e portarono a comportamenti nuovi e più sicuri: con le dovute proporzioni possiamo immaginare qualcosa di simile per la nostra logistica.
La riflessione sull’antifragilità ha un padre nobile: Nassim Nicolas Taleb ci dice che “in natura gli organismi viventi hanno escogitato una strategia per adattarsi alle condizioni avverse. Alcuni organismi si estinguono, altri modificandosi sopravvivono. L’evoluzione naturale non rende gli organismi più resistenti, ma migliori. Esistono sistemi che di fronte a un’avversità non si limitano a resistere (è il caso della robustezza) ma si migliorano”.
Antifragilità, dunque: una rete di relazioni non solo una catena del valore; un rafforzamento di quel patrimonio che sono sempre stati i distretti produttivi; dalla reazione -che non ci è mancata di certo- alla previsione; un uso strategico della digitalizzazione dei processi; una logistica più corta e più diffusa; un passaggio vero da supply-chain a supply-network; un cambiamento strategico dove le competenze e le persone sono al centro di tutto.
Una mutazione genetica della governance logistica che preveda una maggiore presenza delle persone e del loro valore umano e professionale.
E quando si parla di cambiamenti, di competenze e di persone non può non emergere una altra parola chiave: valori.
Quelle molle etiche e morali che muovono il mondo: se voglio assomigliare alle parole che uso e portare la logistica un passo avanti verso l’antifragilità devo riscoprire il senso dei valori: il rispetto e il riconoscimento delle risorse come persone prima ancora che come professionisti.
Non si fanno salti in avanti senza i valori veri: nemmeno in logistica.
Enzo Biagi ha scritto: “le verità che contano, i grandi principi, alla fine, restano due o tre. Sono quelli che ti ha insegnato tua madre da bambino”.