Tante cose stanno cambiando, tante ne cambieranno. Anche nella transpologistica (la visione unitaria della logistica e del trasporto) assistiamo e assisteremo a cambiamenti importanti e radicali. Ipotizzarli, prevederli ed intercettarli sarà la sfida dei prossimi anni.
Possiamo intanto riflettere su due aspetti:
Nessuno può avere oggi risposte già pronte o soluzione definitive: ma aprire una pista di ragionamenti e di ipotesi (concrete) quello sì, si può e di deve fare.
Molti analisti e molti esperti oggi ci dicono che vi sono concrete possibilità che si assista ad una evoluzione logistica che ci porti tutti (produttori e logistici) verso una catena del valore meno globale e più locale, con una supply chain in grado di garantire meno rischi, maggiore rapidità e maggiore possibilità di controllo e in cui il fenomeno di re-shoring – peraltro già iniziato da tempo – subirà una forte accelerazione.
Tutti gli analisti, anche quelli più pragmatici, ci parlano di una supply chain ridisegnata, dove se proprio non si realizza un completo re-shoring si va almeno verso un “near-shoring”: le filiere corte sono di certo più rapide, più trasparenti, più prevedibili.
Non sappiamo al momento quanto questo fenomeno inciderà: di certo sappiamo che già molte aziende stanno valutando attentamente queste soluzioni: sia in ambito produttivo che in quello distributivo.
Sarà sempre più necessario analizzare le forniture e la robustezza della propria supply chain, tramite un’attenta valutazione dei rischi della propria catena logistica e un’analisi dei dati e dei numeri (che spesso parlano ma sono inascoltati) per poi prendere decisioni chiave su accorciamento, differenziazione, robustezza della propria catena logistica.
Vi è poi un secondo aspetto sul quale molto ci giochiamo delle sfide future della transpologistica: seguire un percorso di servitizzazione.
Ad onor del vero la parola “servitization” non è proprio un neologismo: compare per la prima volta una trentina di anni fa (1988) in un’importante rivista europea (European Management Journal) e viene descritta come “l’offerta di pacchetti più completi o combinazioni di beni, servizi, supporto e conoscenza, al fine di aggiungere valore alle principali offerte di prodotti”. Spesso lo si traduce con una metafora: “passiamo dalla vendita di caldaie alla vendita di acqua calda”.
In altre parole: nella percezione del cliente, il servizio che supporta il prodotto ne diventa parte integrante, diventando quasi un’unica cosa e porta il cliente a scegliere un’offerta perché la fusione (servitization) del prodotto con il servizio è oramai percepita come un’unità non più separabile.
Negli anni anche la letteratura scientifica ha coniato il proprio (e immancabile) acronimo: PSS, Product Services System.
Insomma: il prodotto non è più l’oggetto che acquisto ma il beneficio che ne traggo quando lo utilizzo insieme a tutti i servizi che lo compongono. Una piccola rivoluzione per le aziende manifatturiere. E infatti a partire furono i grandi colossi: Volkwagen, General Eletric, Canon, Johnson & Johnson, Boeing, Caterpillar…
E la logistica? I trasporti? La transpologistica?
Il primo pensiero è: possiamo fare di più. Soprattutto in questo tempo intrecciato fra incognite e opportunità.
Anche per la transpologistica si richiede un’integrazione fra prodotti e servizi in grado di fornire maggior valore per il cliente: un mix competitivo di prodotti tangibili (merci movimentate) e servizi immateriali (finanziari, tracciabilità, visibilità delle consegne, organizzazione automatica dei giri, dematerializzazione dei documenti ecc…) progettati e combinati per aumentare sia il valore chiave percepito dal cliente finale sia il posizionamento, i profitti e la competitività aziendale.
Diciamolo pure: un cambiamento culturale che ha visto nei grandi players dell’e-commerce dei veri e propri “profeti della servitization”.
Si tratta di un fenomeno già in atto -e lo possiamo toccare con mano nella nostra vita quotidiana di consumatori- ma che di certo diventerà sempre più dirimente nei prossimi anni.
Gli esperti ci dicono che ancora oggi le aziende manifatturiere sono troppo concentrate sui prodotti e sui processi interni: e noi della logistica?
Quali sono i servizi che davvero contribuiscono alla soddisfazione del cliente? E questi sono davvero al centro dei nostri business plan?
Una servitizzazione della logistica e dei trasporti li può rendere più resilienti ?
Le domande sono retoriche e conosciamo tutti la risposta. Il difficile -ma necessario- passo risiede nella concretizzazione di questa fusione tra prodotto e servizio che porti anche noi a non vendere più caldaie… ma acqua calda!
Le nuove tecnologie di certo ci aiuteranno in questo: migliorare una proposizione sul mercato guidata dai numeri (data driven), proattiva e aumentata nella qualità e nel numero. Ma di certo prima servirà un approccio culturale nuovo anche per noi. Si parla oramai spesso di “nuova normalità”: vale anche per le scelte culturali e strategiche delle nostre aziende.
Nel 1999, con il consueto timbro profetico, Bill Gates scrive: “Le aziende subiranno più cambiamenti nei prossimi dieci anni di quante ne abbiano sperimentati negli ultimi cinquanta”.
Prepariamoci: potrebbe valere anche per le prossime sfide della transpologistica.
Ci sarà modo di approfondire e di analizzare anche questa sfida: di certo la servitization non sarà solo una parola di moda.
Alberto Cirelli,
direttore commerciale
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