Viviamo una realtà dicotomica: tutto o bianco o nero, o stai di qua o stai di là. Viviamo nell’epoca delle dichiarazioni a spese dei ragionamenti: anche quando si devono affrontare sfide importanti – forse epocali – come l’automazione e industria 4.0.
Insomma: un mondo di tifosi che prendono posizioni nette su argomenti e sfide che invece richiederebbero equilibrio, prudenza, e razionalità.
In particolare sui temi inerenti innovazione, robotizzazione, e automazione il dibattito è monopolizzato tra turbo-innovatori e omni-catastrofisti.
E questo vale purtroppo anche per tutto quello che riguarda il dibattito sull’innovazione della supply chain, della logistica, del trasporto.
La robottizzazione, le macchine che passano da automatiche ad intelligenti, la capacità oramai conclamata di generare apprendimento automatico anche per i carrelli da magazzino, i robot collaborativi, i droni, la realtà aumentata… libereranno gli operatori del settore da lavori duri e ripetitivi creando nuovi posti di lavoro nella progettazione, o saranno invece generatori di nuove sacche di disagio e disoccupazione?
La nuova rivoluzione tecnologica sarà a vantaggio di tutti e anche le piccole aziende potranno avere più strumenti per competere, o invece le tecnologie allargheranno ancora di più la forbice tra i colossi e il nostro tessuto connettivo economico fatto di migliaia di medie aziende?
Un dibattito sterile. L’unica conseguenza è assistere ad uno schieramento di gruppi da curva sud che vivono o la sensazione dei profeti inascoltati che devono andare avanti per il bene del genere umano o una angoscia strisciante per una visione di un futuro robottizzato e privo di umanità: dall’utopia all’angoscia.
Anche chi scrive, come molti, ha avuto una nonna. Donna forte, concreta, contadina della bassa ferrarese. Come molte sue coetanee era anche una buona cuoca e la domenica non mancavano mai i cappelletti (nella bassa Ferrarese i tortellini si chiamano così…) per i nipoti e per tutta la famiglia. Cominciava il sabato con la preparazione del brodo e dell’impasto: i tortellini, una volta preparati, restavano una notte ad “asciugarsi” per essere sodi al punto giusto la domenica mattina. In file precise, ordinati come un una compagnia militare in parata, facevano bella mostra sui vassoi in sala, prima di finire in cucina nel pentolone gigante del brodo profumato. L’odore era quello della domenica, della famiglia, della festa.
Tutto si sviluppava così, quasi immutabile: mia nonna lo aveva imparato dalla mamma che a sua volta lo aveva imparato dalla sue e così via.
Poi avvenne la “rivoluzione tecnologia” : arrivarono anche nella bassa ferrarese ad inizio degli anni ‘70 le macchine per tirare la sfoglia e il dibattito si aprì.
La sfoglia si tira a mano perché con la macchinetta diventa “liscia” e meno buona oppure meglio usare la macchinetta che fa risparmiare tempo e articolazioni dei polsi alle povere “razdore” (cuoche)?
Mia nonna e le sue amiche discutevano e anche lì c’erano quelle che sostenevano il progresso e quelle che difendevano le tradizioni: mia nonna non ha mai amato le discussioni e la ricordo in ascolto più che a prendere posizione.
Ogni grande evoluzione, ogni salto in avanti, ogni novità che impatta sulle vite di ciascuno e sulle visioni del futuro ha creato dibattiti e confronti.
E ogni volta nella storia ci sono stati i “tifosi” di una teoria o del suo contrario. Ma chi è riuscito a venirne fuori, è stato chi ha saputo leggere gli eventi, affrontando il problema con metodo, con razionalità, anche con un po’ di prudenza se necessario.
Ci troviamo di fronte ad una rivoluzione tecnologica che ha già cambiato e cambierà ancora di più il nostro modo di lavorare, di relazionarci, di vivere. Dobbiamo prendere decisioni importanti per le nostre aziende: decisioni che impatteranno sugli sviluppi economici ma anche sociali.
Nessuno ha la verità in tasca e le sfide sono davvero grandi.
Ma proprio per questo il confronto, la riflessione, l’analisi dei dati, l’approfondimento serio sulle conseguenze delle nostre decisioni, la consapevolezza di un patto generazionale a cui non possiamo sottrarci, ci devono portare a razionalizzare e rendere “scientifiche” le decisioni che prenderemo: rendere le aziende più competitive deve coesistere con l’impatto sociale che le nostre scelte creeranno.
Mia nonna alla fine decise: i cappelletti si tiravano a mano, la macchinetta solo per le tagliatelle. Ma forse questa è un’altra storia.
Alberto Cirelli,
direttore commerciale
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