Un valore non si compra
Negli ultimi anni il settore software si è popolato di colossi cresciuti più per acquisizioni che per comprensione del lavoro dei clienti. Aziende che comprano aziende, assorbono soluzioni, mettono tutto sotto un unico marchio. Da fuori sembrano fortissime. Da dentro, spesso, funzionano come catene di montaggio. Le persone diventano numeri, i clienti ticket, i processi casi standard. Chi non rientra nello schema deve adattarsi. Oppure pagare. E spesso pagare caro. La personalizzazione non è un valore, è un’eccezione da scoraggiare. È un modello efficiente per chi vende software in serie, ma profondamente inefficiente per chi deve far funzionare ogni giorno una supply chain reale.
Ogni tanto succede anche a noi. Arriva uno di quei grandi gruppi internazionali e ci propongono di acquisirci. Parlano di sinergie, di scala, di accelerazione. Noi li fermiamo alla porta. Non perché non siamo curiosi, ma perché ci sono valori che non sono in vendita. Non abbiamo mai sentito il bisogno di ascoltare l’offerta fino in fondo. Quando credi davvero in come lavori, in come tratti i clienti e in come costruisci il software, capisci che certe cose non si possono comprare. E soprattutto non si vogliono vendere.
La logistica non è un concetto astratto
In un magazzino le idee astratte non resistono a lungo. Diventano pallet fuori posizione, colli che non tornano, etichette strappate che bloccano un ingresso merci. La logistica è fatta di dettagli piccoli, continui, ripetuti. Quando qualcosa non funziona, il problema non resta sulla carta. Si propaga. È per questo che il 2026 si sta annunciando come un punto di svolta. Sempre più aziende stanno capendo che i software generalisti chiedono alla logistica di adattarsi a loro. Ma la logistica non è un processo qualunque.
È un mestiere. E come tutti i mestieri, ha bisogno di strumenti costruiti per il lavoro che devono svolgere.
Quando una tecnologia non nasce per la supply chain, lo si capisce subito. Servono passaggi in più per leggere uno scostamento, fogli esterni per spiegare ciò che il sistema non vede, controlli manuali per compensare ciò che dovrebbe essere automatico. È come guidare un camion con il cambio di un’auto cittadina.
Arrivi comunque a destinazione, ma consumi tempo, energie e margine. Per anni molte aziende hanno accettato questo compromesso perché il mercato offriva soprattutto questo. Oggi quel compromesso inizia a pesare troppo.
Perché la verticalizzazione è tornata centrale
Non è solo una sensazione. Gartner lo ha formalizzato nello studio sulla Vertical Go-to-Market Strategy pubblicato nel 2024. I buyer si aspettano che i fornitori comprendano il loro settore, il loro linguaggio e i loro risultati operativi. Il 92% dei responsabili di linea di business deve costruire un business case per ogni investimento tecnologico. In questo scenario, le soluzioni generaliste faticano perché non parlano la lingua del lavoro quotidiano. Il valore nasce da tecnologie progettate per un settore specifico, non adattate dopo.
In Italia questo cambiamento è già visibile sul campo. La GDO e il Fashion lo dimostrano meglio di altri. Nella grande distribuzione il ritmo è serrato, l’inbound non aspetta, i volumi comprimono ogni margine di errore. Nel Fashion la complessità si sposta su varianti, stagionalità, reverse logistics, lavorazioni di valore. Due mondi lontani che però condividono una stessa esigenza. Funzionano solo con strumenti che conoscono davvero la loro logica interna. È per questo che in GEP sviluppiamo WMS e TMS verticali, pensati fin dall’inizio per stare dentro quei contesti, non adattati dopo.
Dati che parlano la lingua della supply chain e AI pensate per la logistica
Lo stesso approccio guida la nostra Business Intelligence. Non dashboard vuote da riempire, ma KPI già pronti per la logistica e i trasporti. Saturazione, overstock, rotazione, resa per tratta, scostamenti tra previsto ed effettivo. Indicatori che chi lavora in magazzino o pianifica i flussi riconosce subito come utili. La BI smette di essere un progetto IT e diventa uno strumento operativo quotidiano.
La stessa logica vale per l’intelligenza artificiale. Non un’AI generica che risponde bene alle domande, ma un’AI che risolve problemi concreti.
Lettura di etichette illeggibili in ingresso merci, inserimento automatico degli ordini di trasporto da documenti non strutturati, verifica della corrispondenza tra quanto ordinato e quanto ricevuto. Non effetti speciali, ma minuti risparmiati, errori evitati, decisioni più rapide.
La scelta che definirà il 2026
Il 2026 non sarà ricordato per una nuova moda tecnologica. Sarà ricordato come l’anno in cui molte aziende hanno smesso di adattare i propri processi a software standardizzati. Hanno iniziato a scegliere soluzioni che conoscono davvero il loro lavoro. È una scelta controcorrente in un mercato che premia la dimensione più della competenza. Ma è anche l’unica che permette di costruire supply chain più solide, più leggibili, più umane. È questa la direzione che seguiamo in GEP. Non diventare più grandi a tutti i costi, ma restare vicini ai nostri clienti per capire cosa serve davvero per la loro crescita.


